Il Paradiso Perduto
Autoritratto - Paolo Pelosini (2021)
Una Casa d'Artista: l’abitazione di Paolo Pelosini
come Museo di sè stesso e della sua opera
Visitare gli ambienti di lavoro di un artista è sempre una esperienza affascinante. Quando poi tutta l’abitazione è stata destinata a rappresentare, attraverso un percorso di opere scelte e selezionate dall’artista stesso, tutto il percorso, l’iter creativo che attraversa le varie fasi produttiva dal passato arriva sino al nostro attuale tempo, allora più che di una semplice esperienza estetica si tratta di compiere una vera e propria immersione nel mondo e nell’immaginario dell’autore.
E’ quanto ha fatto Paolo Pelosini con la sua casa a Massarosa al rientro dagli Stati Uniti, dove ha lavorato per quasi mezzo secolo. Chiusa, a quanto pare definitivamente, l’esperienza americana, al rientro in Italia Pelosini ha sentito il bisogno di trasformare la sua abitazione in una Galleria d’Arte che espone in progressione il frutto del suo poliedrico e sofisticato lavoro. Ma proprio perché questo non rimanga argomento di indagine solo per gli addetti ai lavori, L’autore ha svuotato l’abitazione di tutti i mobili e le suppellettili, riservando per le sue necessità solo il bagno, la camera e la cucina, ed ha ambientato nelle stanze ormai vuote gran parte della sua produzione sia pittorica che scultorea.
Quando questo accade, e accade raramente, in genere l’artista è morto e la selezione delle opere e la loro ambientazione viene effettuata con criteri decisi di volta in volta da curatori che non sempre hanno conosciuto in vita il personaggio di cui si stanno occupando. Questo caso invece è insolito perché l’artista è vivo ed ancora attivo nel suo lavoro artistico, e lui stesso ha scelto i lavori che a suo parere illustrano meglio e con più incisività il suo lungo percorso creativo.
Entrare in questa casa è dunque una scoperta non solo dell’opera di Pelosini ma anche una ricognizione su un modus operandi che prosegue, stanza per stanza, sino al cavalletto dove Paolo dipinge la sua ultima opera, o nel giardino dove assembla la sua ultima scultura.Il visitatore può dunque essere fatto partecipe dell’atto creativo oltre che godere della vista delle opere esposte. Ma cosa più importante può stabilire un rapporto diretto con l’artista che è sempre ben felice di illustrare, durante la visita di queste stanze-galleria, quelle che sono state sin dall’inizio della sua carriera, le scelte stilistiche che hanno connotato durante la sua lunga esperienza la sua produzione, che attraverso questa lettura si esplicita come un vero e proprio work in progress. Ancora in divenire, ancora aperto a nuove suggestioni e possibilità, ancora non concluso.
Le due espressioni guida di questa storia, la pittura e la scultura, scorrono parallele in questi spazio senza mai prevaricare l’una sull’altra, e senza mai confondersi. Sono due moduli espressivi completamente diversi l’uno dall’altro ma inscindibili, complementari, simbiotici. Per Paolo Pelosini la pittura è contemplativa ed è “intelletto”, e la sua non di rado riesce a raggiungere alti livelli di lirismo anche quando tratta soggetti non proprio facili e felici, come la distruzione della natura e del nostro ambiente. La scultura è invece impulsiva e definita dall’artista “animale”.
E che la sua sia una scultura forte, violenta, tagliente, lo dimostra già l’uso che l’artista fa dell’accetta con la quale squarcia le lamiere che poi assembla dando loro nuova forma e nuova vita. Tutta l’esplorazione di queste stanze è giocata su questa tensione, su questa dualità, che ricompone l’apollineo al dionisiaco. La quiete e la tempesta, il movimento e la stasi, l’urlo e il silenzio. La scultura in alcuni casi sembra pervasa da uno spirito ribelle e demoniaco.
La pittura al contrario, pur non essendo rassicurante ed improntata ad un facile ottimismo, è comunque attraversata da una corrente più riflessiva e pacata, che per contrapposizione potremmo definire “angelicata”. In questi due aspetti dello stesso spirito creativo, sono sedimentati tutti i ricordi e tutto il sapere che l’artista ha fatto proprio senza aver paura di riferirsi esplicitamente ai grandi e celebri esempi del passato. Dall’arte delle caverne del Paleolitico sino ai movimenti artistici piùsignificativi del’900 per arrivare ad oggi, non c’è istanza culturale ed estetica che Pelosini non abbia indagato e poi in piena e assoluta autonomia rielaborato, dando vita ad una produzione che trova il suo vertice e la sua giusta collocazione in questo contenitore di vita vissuta.
Queste stanze dunque ci presentano i lavori scelti da Paolo ad illustrare il tema dominante del suo lavoro che è sostanzialmente quello della degradazione dell’ambiente e di conseguenza dell’uomo. Argomento certo non consolatorio, ma che svela conquanta lucidità l’artista veda e partecipi di questa deriva ormaisempre più inquietante e disastrosa.
Questa casa d’artista è già definita “Mausoleo” e non solo dall’artista, e l’appellativo non è del tutto gratuito visto che nel retro della casa, dove il giardino finisce, l’artista ha già predisposto il luogo che accoglierà le sue ceneri, perché come lui stesso dichiara: ”Preferisco diventare scultura in casa mia che finire in uno di questi osceni, terribili e kitch cimiteri." E francamente guardando ai cimiteri di tutta la zona dove abita l’autore non si può non dargli ragione. Anche alla morte è stata tolta la sua dimensione più sacra e forse essere seppelliti a Disneyland sarebbe da preferirsi.
Questo percorso artistico ha anche un altro scopo; quello di mettere in sicurezza le opere che l’artista ha selezionato, compresa la complessa e multiforme scultura che conterrà le sue ceneri, dal titolo di “Fossa Comune”. Questo sarà anche il suo ultimo lavoro. La coerente conclusione di un percorso complesso, segmentato in varie esperienze ma tutte intimamente ecoerentemente legate tra loro.
In questa casa-museo-galleria, che avrà il titolo generale di “Paradiso Perduto” potremo cogliere l’energia ma anche la libertà con la quale Paolo Pelosini ha lavorato sempre fuori dagli schemi più ovvi e scontati. Libertà, si è detto. Ma non anarchia. Né di forma né di contenuto. Libertà di sperimentare, tentare, riuscire, sbagliare. Perché Paolo sa che la libertà non è chela possibilità per essere migliori.
Claudio Giorgetti
Massarosa Luglio 2021